Come artista Claudio si definisce “artistocratico” perché mette nuovamente il potere nelle mani dell’artista. Quel potere che era finito nelle mani di altri: il critico, e il gallerista e dei media che ne amplificano le assurdità.
Il compito del critico è inquadrare l’opera nel panorama storico e culturale del suo tempo: la funzione del gallerista è proporla al pubblico, dopo averne fissato il prezzo.
Queste due figure “di supporto” all’artista hanno però finito per prendersi sempre più spazio, fino ad essere loro a determinare il valore artistico (e di mercato!) di un’opera.
Essere “artistocratici” significa rimettere le cose a posto: è dare nuovamente la parola all’opera d’arte, che incontra il pubblico direttamente, senza l’intermediazione della galleria d’arte, e senza l’avallo della critica.
Quest’operazione Ciaravolo la fa da sempre: dal 1972, anno in cui presenta la sua aria di Napoli fuori all’ingresso della Biennale di Venezia, suscitando l’entusiasmo dei passanti. Che se la comprano là, sul posto.
Claudio continuerà allo stesso modo per oltre 10 anni : sempre scendendo in strada, e su un bancariello di legno si rivolgerà direttamente ai passanti, senza la protezione della galleria ,sicuro che i suoi “eventi d’arte” siano capaci di catturarli, e di invogliarli a parlarne in giro, generando un irresistibile passaparola.
Dopo l’80, le opere continuerà a presentarle per strada ma non le venderà più: inscenerà delle false vendite, filmandole. Venderà poi i filmati di queste vendite fittizie alle televisioni di tutto il mondo.
(Le opere presentate in questi anni (tra il 1980 e il 2000) sui bancarielli (e non vendute davvero), gli verranno richieste solo in seguito dai collezionisti, che ne hanno sentito parlare anche dopo che la tv ha mandato in onda i filmati. Ma questa è un’altra storia…)
Dal 2000 Ciaravolo ha ricominciato a vendere provocatoriamente qualcuna delle sue opere, ma con una clausola, anzi due: è lui a scegliersi gli acquirenti, ed è sempre lui a decidere a quale associazione o ente il prezzo dell’opera dovrà essere versato in beneficenza.
Claudio è artistocratico perché crede fortemente nel potere dell’arte, e dell’artista: nella loro possibilità di sfondare il muro dell’indifferenza, di suscitare l’entusiasmo di chi guarda. Secondo lui, l’arte deve stare sempre al posto che le compete: il primo.
Il critico (e il collezionista) non si sentano (e infatti non si sentono) esclusi davanti alle opere di Ciaravolo. E così finiscono per prendere la parola (i primi: però dopo che la gente ne ha sancito il valore, e non prima), e l’opera (i secondi: che l’acquistano ad un prezzo elevatissimo).
L’opera “aristocratica” di Claudio spazia dall’ adN (Biennale di Venezia, 1972) alle istallazioni stradali (referendum abrogativo della Juventus, pane blu, ecc. (1981), alla voglia di Gorbaciov (1991) alle opere su artisti contemporanei (reversibilità,….), sulla napoletanità (uno su mille, 1994), sul falso (ceci n’est pas un Magritte,1998), sui codici incomprensibili (loops in tabula…), sulla pace (pace fatta di granate, Berlino 2012), e alle opere sul web (manet.as, 2011).
Sempre assenti dalle gallerie d’arte, le opere di Ciaravolo si possono trovare nelle sale di alcuni importanti musei di arte contemporanea, e nelle più grosse collezioni private.
Oggi Claudio Ciaravolo fa l’“artistocratico” con tutti i mezzi: dalla classica tela, sulla quale elabora in maniera innovativa i temi della napoletanità e dell’arte contemporanea (che secondo lui ne è un particolare derivato), al web. Claudio Ciaravolo è inoltre considerato il fondatore della “HAHART” una corrente artistica la cui mission è sorprendere, entusiasmare, e soprattutto divertire.